di Simona CASAGRANDE
«Mai visto in tutta la mia vita uno splendore di
primavera come stamattina al levar del sole...Dalla finestra vediamo il vasto e
dolce pendio dell'antica città tutto a giardini e vigneti, sotto il folto verde
s'indovina appena qualche traccia dei grandi e popolosi quartieri della città
di un tempo. Soltanto all'estremità meridionale di questo pendio verdeggiante e
fiorito s'alza il tempio della Concordia, a oriente i pochi resti del Tempio di
Giunone; ma dall'alto l'occhio non scorge le rovine di altri templi... corre
invece a sud verso il mare.» In questo modo Goethe descriveva la
valle dei templi, in quella splendida città che oggi noi chiamiamo Agrigento,
ma che fino al 1929 veniva ufficialmente chiamata, con il nome datole dai
Normanni, Girgenti.
Così, Gianfranco
Jannuzzo, dopo “Se devi dire una bugia
dilla grossa”, “È molto meglio in due”, “Liolà” ed “Il divo Garry”, è
tornato ancora ad Alassio con “Girgenti Amore Mio” che, dal 1 dicembre,
sta portando in tournee in giro per l’Italia
e dal 26 al 28
di febbraio è approdato anche al Politeama Genovese.
Assistito dall’abilissima
regia di Pino Quartullo e le bellissime musiche di Francesco Buzzurro, ha dedicato un one man show di due ore alla sua città natale, ove
ironia, sarcasmo, nostalgica malinconia ed idilliaca poesia, alternandosi, si
fondono in tutt’uno. Una dichiarazione d’amore alla sua Agrigento ed alla
Sicilia, ove, però, emergono, tra le tante doti, anche mille contraddizioni.
In
una scenografia dai caldi colori, di un’antica città greca con resti di colonne
doriche, racconta, in un rapporto diretto con il pubblico, la sua famiglia ed i
suoi luoghi d’origine attraverso tipi, caratteri, tic, pregi e difetti di
personaggi tipici delle nostre vite di tutti i giorni con grande autocritica.
Descrive
con incredibile abilità i protagonisti che
danno vita ad una città: il giornalaio, il cameriere, il pasticcere, il
barista, il professore, l’impiegato delle poste, il signore, con la borsa sotto
il braccio, che s’incontra ogni giorno per le vie del centro, ma non si sa bene
chi sia o cosa faccia… quelle persone con cui ci si scambia il buongiorno
quotidianamente, di cui conosciamo i volti, ma non i nomi; quelle persone che,
tolte dal luogo, ove le incontriamo solitamente, non ricordiamo chi siano;
quelle persone, che però, nel tempo, conoscono noi, si ricordano il nostro
cognome, come beviamo il caffè, il nostro piatto preferito, quali giornali
compriamo; quelle persone senza le quali una città non potrebbe esistere.
Jannuzzo,
da straordinario artista qual è, ha saputo tenere sempre viva l’attenzione, non
solo con gag esilaranti e mai fine a se stesse, ma anche con incredibili
momenti di riflessione che lasciavano, gli spettatori, senza respiro ed un velo
di malinconia: una capacità di passare dal comico al drammatico unica nel suo
genere. Con “stupore
che si macchia d’orrore” ha saputo trattare con maestria temi amari come quello
dell’annosa crisi idrica, la donna, l’istruzione, le infrastrutture.
Eccezionale anche il dialogo sarcastico improvvisato
con il pubblico ineducato: ai soliti ritardatari “oh signori, fate pure con
comodo, eravamo già tutti preoccupati…” ad un cellulare, che, nonostante la
registrazione avesse ricordato di spegnere, squillava imperterrito “ma prego
rispondete!” o alla signora in prima fila che continuava imperturbabile ad
inviare messaggi “signora, ma cos’ha di così interessante da raccontare che è
dall’inizio dello spettacolo che sta messaggiando!”… Quel dialogo attore/ascoltatore
che rende il teatro uno spettacolo incredibilmente eccezionale, sbalorditivo, unico
nel suo genere, irrepetibile, inimitabile…
Nonostante la scarsissima pubblicità, il teatro era
gremito di pubblico: tutti i posti, sia in tribuna che in platea, erano
esauriti. Gli spettatori alassini hanno assistito divertiti ai monologhi
dell’attore, interrompendolo spesso con lunghi e scroscianti applausi ed alla
fine, una standing ovation l’ha indotto a ripresentarsi raccontando ancora un
paio di storie. Gianfranco Jannuzzo si è confermato, ancora una volta, con “La
più bella città dei mortali”, come Pindaro definiva Girgenti, uno straordinario
umorista: sicuramente è uno spettacolo da non perdere!
Pubblicato su GenovaZena ad aprile 2010
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