mercoledì 27 giugno 2012

Si Può Fare di Più!

di Simona CASAGRANDE


Il 28 gennaio la Yale e la Columbia University hanno rilasciato l'Indice di Sostenibilità Ambientale 2009 per 163 paesi, presso il Forum Economico Mondiale, basato su linee di condotta ben consolidate, divise in 10 categorie che coinvolgono sia la salute del pianeta che l’ecosistema.

Al primo posto troviamo l'Islanda, grazie alle sue politiche ecologiche e di salute pubblica nonché per il suo controllo delle emissioni di gas ad effetto serra. Questo perché l'energia, prodotta qui, proviene quasi esclusivamente (99,9%) da fonti rinnovabili, infatti il Parlamento islandese nel 1998 ha deciso di eliminare tutti i combustibili fossili dall'isola ed utilizzare solo mezzi di trasporto ad idrogeno, prefiggendosi, entro il 2050, di riuscire a raggiungere il 100%.

L’Italia, in Europa, si è classificata al 12° posto, dopo l’Inghilterra e la Germania. Nel 2008, nel mondo, eravamo al 24° posto, ora siamo al 18°, possiamo quindi vantare un miglioramento, ma non è ancora sufficiente, si potrebbe fare decisamente molto di più.

Occorre, però, capire che questa non è una questione riservata unicamente alla classe politica e all’industria, ma ci riguarda tutti da vicino. Certo, non possiamo risolvere i problemi ambientali, come il cambiamento  climatico, da soli, e per i quali sono necessari interventi internazionali concertati, ma ciascuno di noi può fare qualcosa nel suo piccolo.

Intanto, vista la stagione estiva, ci si potrebbe ricordare che il mare per eliminare un fazzoletto di carta impiega almeno 3 mesi, per un mozzicone di sigaretta da 1 a 5 anni, per una buccia di banana 2 anni, per un oggetto di plastica da 10 a 20 anni, per uno di nailon  da 30 a 40 anni, per uno di latta 500 anni, per uno di alluminio da 80 a 100 anni e per una bottiglia di vetro o un pezzo di polistirolo addirittura 1000 anni. In fondo basta poco per dimostrare un po’ più d’amore per il nostro pianeta. Applicare le buone pratiche non costa nulla: si tratta, infatti, solo, di adottare piccole regole, ma efficaci. È assolutamente necessario comprendere che il nostro futuro e quello dei nostri figli, dipende dalle scelte che facciamo.
 
A luglio si è concluso il biennio del T.V. Luca SAMMURI alla guida della Capitaneria di Porto di Alassio (SV): un periodo caratterizzato da grandi cambiamenti, infatti questo sarà, tra non molto, il 1° Ufficio Circondariale Marittimo, in Italia, ad ottenere la certificazione UNI EN ISO 14001.
La norma internazionale ISO 14001 stabilisce i requisiti per un Sistema di Gestione Ambientale, che viene utilizzato per misurare e documentare l’impatto che una qualsiasi organizzazione, nell’esercizio delle proprie funzioni, può avere sul territorio. Cosa molto importante per indurre gli individui a riflettere, generando così un cambiamento nella coscienza ambientale. A questo fine si richiede, pertanto, che ci si approcci in modo realistico a tutti i settori.  

Il circondario marittimo di Alassio comprende lo specchio acqueo della costa ligure compreso tra Andora e Loano che implica, in particolare nel periodo estivo, impegni tanto gravosi quanto complessi, come  le operazioni di soccorso in mare, la vigilanza archeologica (intorno ai fondali dell’isola Gallinara, sono presenti, infatti, ben 2 relitti, di cui uno d’epoca romana), il controllo delle imbarcazioni da diporto, le certificazioni per la sicurezza della navigazione, le verifiche sugli stabilimenti demaniali  ed i controlli sulla filiera ittica commerciale a partire dalla fase in mare proseguendo presso i punti di sbarco, le pescherie, i centri commerciali, i ristoranti e poi molto altro.



Ma il Comandante Sammuri non si è limitato alle classiche operazioni di polizia marittima, ha voluto introdurre nuove attività, come il controllo della velocità delle imbarcazioni, nello spazio portuale, grazie anche ad una collaborazione con la polizia municipale, tramite tele laser, per rendere la navigazione più sicura. Si è reso inoltre artefice di una campagna di sensibilizzazione, in cui si raccomanda di smaltire correttamente i segnali di soccorso in mare scaduti, quali razzi, boette fumogene e fuochi a mano, evitando di gettarli in acqua o accenderli in navigazione o a terra, creando falsi allarmi ed inutile dispendio di risorse, o ancora abbandonarli in cassonetti destinati alla spazzatura, in quanto rientranti tra i rifiuti pericolosi, contenenti sostanze inquinanti e nocive per l’ambiente, come tutti i prodotti esplosivi. I naviganti vengono, pertanto, esortati a portare il tutto alla C.P. alassina che provvede allo smaltimento, in occasione degli spettacoli pirotecnici che si svolgono nel circondario marittimo di competenza. Un’iniziativa veramente ingegnosa per colmare un buco legislativo.


Ma un particolare plauso è dovuto, al T.V. Sammuri, soprattutto per aver promosso le buone pratiche ambientali, come la riduzione dei costi di gestione dei rifiuti tramite la raccolta differenziata di carta, vetro, lattine, pile, toner, olio combustibile, bottiglie, bicchieri e tappi di plastica; come anche il risparmio nel consumo di materiali, spese postali, energia elettrica ed acqua. Un esempio che dovrebbe però essere la regola. Un grande impegno che, se portato avanti, sicuramente gioverà all’immagine della Guardia Costiera alassina.

E così, un ragazzino, che a otto anni sognava di poter diventare un giorno zoologo, è diventato invece, un eccellente Comandante, che ha saputo, e sa fare, la differenza.

Certo, raggiungere i risultati islandesi non sarà cosa facile, ma se noi, ogni giorno, ci ricordassimo, in ogni nostro gesto, che siamo noi, e soltanto noi, prima di chiunque altro, a decretare il tipo di ambiente, che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli ed ai nostri nipoti, il traguardo non sarebbe, a ben vedere, troppo lontano: basta volerlo!


Pubblicato su GenovaZena nell'agosto 2010

 

martedì 19 giugno 2012

Un Borgo sul Confine


Si narra che intorno al 753 a.C. un gruppo di greci, probabilmente Focesi, che si recavano in Corsica per sfruttare i giacimenti di sale, crearono nella rada a ridosso del Capo delle Mele (in provincia di Savona), sino alla foce del Merula (allora in località Conna, molto più a monte rispetto ad ora), un approdo di sicuro ancoraggio, per l’imbarco e lo sbarco del sale, perché riparato dai venti di ponente e di maestrale.

Diversi secoli dopo un secondo contingente, giunse dalla Catalogna, si trattava di pescatori di corallo che insegnarono agli indigeni i segreti del loro mestiere.

Il mare pescoso e l’aria salubre rappresentavano i presupposti per l’insediamento di molti, soprattutto pescatori, fra gli altri, i più provenivano da Napoli, dalla Corsica e dalla Sardegna.

Purtroppo però arrivarono anche numerosi vandali, lasciando notevoli tracce delle loro terribili incursioni. I saraceni, conquistata la Sicilia, provarono ad invadere anche le coste della Liguria, devastando e saccheggiando, ma si dice che spesso nelle guerre il nemico più vigoroso è vinto in singolar tenzone da un gracile ligure…”. Tuttavia queste incursioni piratesche indussero a creare una catena costiera di torri, torrioni e fortini che tutt’ora si conservano da Ceriale a Vallecrosia.

Intanto, sulle sponde del Merula, la comunità costituitasi intorno alla chiesa di San Giovanni, quale insediamento genovese, a causa delle continue guerre tra guelfi e ghibellini, innalzò sulla collina, un complesso fortificato ove ben presto gli abitanti trovarono rifugio. Ma durante il medioevo, nuovi insediamenti continuavano a formarsi lungo le rive del fiume, nacquero così: Colla Micheri, Rollo, Marino, Pianrosso, Tigorella, Ferraia ed altri. Giunse un periodo di massimo sviluppo: la popolazione sobria e di semplici costumi, viveva in un certo benessere, gli scarsi reati erano puniti inflessibilmente e la moralità era salvaguardata al punto da espellere chi vivesse in concubinaggio.
Nel XV e XVI sec. a causa di due pestilenze e sotto la minaccia di continue febbri palustri, dovuti all’impaludimento dello stesso Merula, il complesso fortificato e gli insediamenti circostanti, furono abbandonati. Molti, atterriti, si rifugiarono nella vicina Laigueglia che allora contava più di mille abitanti ed annoverava un’importante Università, ma ben presto fecero ritorno alle loro abitazioni.

Con la venuta di Napoleone, però, prese consistenza una nuova emigrazione verso Genova, Toscana, Spagna, Francia ed addirittura nelle Americhe, specie in Uruguay e California. Così, la “Strada Romana”, a quel tempo principale via di comunicazione tra Roma e Marsiglia, vedeva ridotto il transito di bestiame da soma e di pedoni. Quando poi nel 1811, per volere della Francia, venne addirittura aperta una nuova via per il commercio, costeggiante Capo Mele, Colla Micheri, posta a tre km dal mare, fino ad allora passaggio obbligato tra Laigueglia ed Andora, venne pian piano abbandonata dai suoi abitanti. Finché nel 1958 un antropologo norvegese, Thor Heyerdhal, innamoratosi della nostra costa, la fece rifiorire. Il borgo antico, del Comune di Andora, è stato completamente ristrutturato mantenendo l’originaria configurazione medioevale e rivive ora in tutto il suo splendore attorno alla piccola chiesetta di San Sebastiano, sulla quale è posta una lapide in memoria della sosta che qui fece Pio VII, recandosi a Roma, nel 1814. Negli ultimi decenni, però, molti, anche stranieri, catturati dallo splendore del panorama e dalla pace che regna su questo colle, l’hanno scelto come dimora, così l’abitato si è esteso al punto da sconfinare nel territorio del comune vicino. Per questo Colla Micheri è ora parte di due Comuni: Andora e Laigueglia.

martedì 12 giugno 2012

Girgenti Sbarca ad Alassio


di Simona CASAGRANDE


«Mai visto in tutta la mia vita uno splendore di primavera come stamattina al levar del sole...Dalla finestra vediamo il vasto e dolce pendio dell'antica città tutto a giardini e vigneti, sotto il folto verde s'indovina appena qualche traccia dei grandi e popolosi quartieri della città di un tempo. Soltanto all'estremità meridionale di questo pendio verdeggiante e fiorito s'alza il tempio della Concordia, a oriente i pochi resti del Tempio di Giunone; ma dall'alto l'occhio non scorge le rovine di altri templi... corre invece a sud verso il mare.» In questo modo Goethe descriveva la valle dei templi, in quella splendida città che oggi noi chiamiamo Agrigento, ma che fino al 1929 veniva ufficialmente chiamata, con il nome datole dai Normanni, Girgenti.

Così, Gianfranco Jannuzzo, dopo “Se devi dire una bugia dilla grossa”, “È molto meglio in due”, “Liolà ed “Il divo Garry”, è tornato ancora ad Alassio con “Girgenti Amore Mio” che, dal 1 dicembre, sta portando in tournee in giro per l’Italia e dal 26 al 28 di febbraio è approdato anche al Politeama Genovese.

Assistito dall’abilissima regia di Pino Quartullo e le bellissime musiche di Francesco Buzzurro, ha dedicato un one man show di due ore alla sua città natale, ove ironia, sarcasmo, nostalgica malinconia ed idilliaca poesia, alternandosi, si fondono in tutt’uno. Una dichiarazione d’amore alla sua Agrigento ed alla Sicilia, ove, però, emergono, tra le tante doti, anche mille contraddizioni.
In una scenografia dai caldi colori, di un’antica città greca con resti di colonne doriche, racconta, in un rapporto diretto con il pubblico, la sua famiglia ed i suoi luoghi d’origine attraverso tipi, caratteri, tic, pregi e difetti di personaggi tipici delle nostre vite di tutti i giorni con grande autocritica.
Descrive con incredibile abilità  i protagonisti che danno vita ad una città: il giornalaio, il cameriere, il pasticcere, il barista, il professore, l’impiegato delle poste, il signore, con la borsa sotto il braccio, che s’incontra ogni giorno per le vie del centro, ma non si sa bene chi sia o cosa faccia… quelle persone con cui ci si scambia il buongiorno quotidianamente, di cui conosciamo i volti, ma non i nomi; quelle persone che, tolte dal luogo, ove le incontriamo solitamente, non ricordiamo chi siano; quelle persone, che però, nel tempo, conoscono noi, si ricordano il nostro cognome, come beviamo il caffè, il nostro piatto preferito, quali giornali compriamo; quelle persone senza le quali una città non potrebbe esistere.
Jannuzzo, da straordinario artista qual è, ha saputo tenere sempre viva l’attenzione, non solo con gag esilaranti e mai fine a se stesse, ma anche con incredibili momenti di riflessione che lasciavano, gli spettatori, senza respiro ed un velo di malinconia: una capacità di passare dal comico al drammatico unica nel suo genere. Con “stupore che si macchia d’orrore” ha saputo trattare con maestria temi amari come quello dell’annosa crisi idrica, la donna, l’istruzione, le infrastrutture.

Eccezionale anche il dialogo sarcastico improvvisato con il pubblico ineducato: ai soliti ritardatari “oh signori, fate pure con comodo, eravamo già tutti preoccupati…” ad un cellulare, che, nonostante la registrazione avesse ricordato di spegnere, squillava imperterrito “ma prego rispondete!” o alla signora in prima fila che continuava imperturbabile ad inviare messaggi “signora, ma cos’ha di così interessante da raccontare che è dall’inizio dello spettacolo che sta messaggiando!”… Quel dialogo attore/ascoltatore che rende il teatro uno spettacolo incredibilmente eccezionale, sbalorditivo, unico nel suo genere, irrepetibile, inimitabile…

Nonostante la scarsissima pubblicità, il teatro era gremito di pubblico: tutti i posti, sia in tribuna che in platea, erano esauriti. Gli spettatori alassini hanno assistito divertiti ai monologhi dell’attore, interrompendolo spesso con lunghi e scroscianti applausi ed alla fine, una standing ovation l’ha indotto a ripresentarsi raccontando ancora un paio di storie. Gianfranco Jannuzzo si è confermato, ancora una volta, con “La più bella città dei mortali”, come Pindaro definiva Girgenti, uno straordinario umorista: sicuramente è uno spettacolo da non perdere!



Pubblicato su GenovaZena ad aprile 2010






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