mercoledì 23 aprile 2014

Quando lo Sport diventa Arte

di Simona CASAGRANDE


Nel 1980 Moses Pendleton (campione di sci di fondo) e Alison Chase fondano i Momix Dance Theatre. Amatissimi in Italia, i Momix con le loro formazioni e le loro numerose coreografie, sono regolarmente presenti nei nostri cartelloni teatrali. Illusionisti del corpo, praticano uno stile di danza ginnico-atletico, basato su giochi plastici, per cui traggono volentieri ispirazione dalla natura con le sue forme fantastiche e mutevoli, e prediligono i toni ironici, mirando anzitutto all'evasione e al divertimento intelligente. Sono i portabandiera della formula eclettica dello “sport teatrale”, pieno di ritmo e di trovate sorprendenti.

Nel 1995 Giulia Staccioli, sulla scia dei Momix, fonda i Kataklò, compagnia internazionalmente applaudita per le qualità acrobatiche combinate con quelle teatrali. Infatti, la coreografa, dopo i suoi successi olimpici nella ginnastica ritmica si trasferisce a New York ove studia agli Alvin Ailey Studios, ed affina, poi, le sue doti nella ormai famosa compagnia americana di Moses Pendleton. In seguito, la passione e la predisposizione all’insegnamento, la portano allo sviluppo di un metodo personale di formazione che la guida anche nella creazione dei Kataklò.

Infine, la ex ginnasta, ad ottobre di quest’anno, istituisce, a Milano, anche l’accademia Kataklò, creata in sinergia con Accademia Susanna Beltrami: una scuola di formazione professionale che si basa sullo studio di danza, teatro e materie atletiche con l’obbiettivo di costruire la figura del danzatore acrobata come professionista completo preparato e qualificato.

Dopo lo strepitoso successo dello scorso anno, con “Play”, gli Atletic Dance Theatre diretti da Giulia Staccioli, il 17 dicembre 2010, sono tornati al Palalassio, con “Love Machine”.

Qui si racconta di una terra misteriosa, di un paesaggio che affascina, di un panorama che sembra essere senza fine in una dimensione senza tempo: un luogo perfetto per le avventure di due speleonauti in cerca di nuove scoperte e di nuove realtà. La fioca luce delle torce permette di cogliere solo alcuni tratti del luogo in cui si sono inoltrati.
Tutto si svolge nell’assoluta penombra, i corpi dei due esploratori, che si calano dall’alto e s’intrecciano l’uno con l’altro, s’intravedono appena. Temerari ed al contempo impacciati, i curiosi pionieri perlustrano lo spazio circostante desiderosi di svelare ogni più intimo segreto, scoprendo così che nell’oscurità si celano oggetti inconsueti: strutture con il piano superiore inclinato, involucri inerti, strani spuntoni, ostili e sinistri.
Affrontano la pendenza delle strutture e si accorgono che in ognuna di esse vive un corpo in carne ed ossa che cammina, pensa, lotta ed ama. Un corpo-macchina che rappresenta il motore della materia, la sua anima che ha voglia di vivere, di aprirsi al desiderio d’amore, divenendo così la metafora di tutto ciò che è passione e desiderio inconscio. Così accade che allo stesso modo in cui l’anima di un essere umano palpita e da vita alla materia, ognuno di quei corpi da e prende vita dalla macchina cui è indissolubilmente legato. In questo nuovo mondo non vi sono regole conosciute, ne il concetto di dritto e rovescio: agli occhi dei due pionieri, forme e pensieri appaiono ribaltati in un perfetto equilibrio.

A poco a poco i viaggiatori si lasciano coinvolgere dalla giocosa vivacità e dalla contagiosa follia d’amore di questo popolo che, attraverso la passione, la curiosità e l’intuizione, ha compiuto un percorso ricco e progressivo fino a creare una nuova dimensione in cui tutto è armonia.

Il rapporto uomo macchina è incentrato s’una visione profondamente ottimistica del mondo. È proprio l’idea dell’amore che genera il mito dell’unione; grazie alla conoscenza reciproca, la diversità diviene normalità. Come agli occhi di Leonardo da Vinci il conosciuto genera esperienza, così gli esploratori imparano a vedere ciò che li circonda da un altro punto di vista, da un’altra angolazione.


In mezzo alle originalissime musiche di Sabba D.J., spicca, proprio durante la danza dell’amore, l’eccezionale e coinvolgente brano barocco, del tedesco Johann Pachelbel, “Canone in D”: perfettamente indovinato.

A differenza di “Play”, però, l’interpretazione di “Love Machines” ha esaltato inopportunamente grandiosi effetti scenici e magici giochi di luce, mettendo in ombra le eccezionali doti atletiche dei danzatori ma, per gli spettatori, che non avevano goduto della straordinarietà dello spettacolo del 22 gennaio, sono stati settantacinque minuti di esibizione fantastica; mentre, invece, sono rimasti delusi coloro che, presenti alla manifestazione d’inizio anno, si aspettavano di vedere le eccellenti abilità acrobatiche esibite nella rappresentazione precedente.

Il teatro era, nonostante l’inconsueta ondata di freddo, comunque gremito di pubblico venuto anche da lontano, tanto che gli organizzatori hanno dovuto aggiungere numerose file di posti in platea ed il pubblico generoso, come sempre, non ha lesinato gli applausi ai fenomenali artisti, che tutti speriamo di poter nuovamente ammirare nelle loro strabilianti evoluzioni.



 

Pubblicato da GenovaZena a febbraio 2011


venerdì 18 aprile 2014

Una Vita tra i Tessuti

di  Simona CASAGRANDE


Stand numero 12. Soffitto di stoffe, pareti di stoffe, corridoi di stoffe. Ci sono velluto, chiffon, organza, seta, cotone, taffetà, georgette, jacquard, raso, broccato e tutti in talmente tanti colori che nemmeno l’arcobaleno li potrebbe contenere. E poi ricami, paillettes, perle… un paradiso per gli occhi di ogni donna che ama cucire.


In un angolo, dietro agli scatoloni ancora confezionati, perfettamente mimetizzata tra le pezze, giace una coperta verde mela dalla quale esce una lunga chioma di capelli neri, delicatamente adagiata sul pavimento.

Sandeep, ha lavorato tutta la notte e ora sta dormendo; è qui solo da due mesi, ancora non conosce l’italiano, ma dal primo giorno lavora nello stand con suo fratello.
Non abita lontano da dove lavora, ma quando non comprendi la lingua e la cultura del posto dove vivi, tutto è lontano. Ogni mattina percorre la stessa strada, gli stessi portici, gli stessi giardini e incontra sempre le stesse persone, ma troppo diverse da lei: chi corre al lavoro, chi accompagna i bambini a scuola, chi attrezza la bancarella, chi apparecchia un tavolino per leggere le carte, chi si aggira curiosando, chi pratica tai chi chuan, chi improvvisa un taglio di capelli dentro una fontana, chi attende, chi sonnecchia sul prato. Ma anche le facce che potrebbero esserle famigliari, non le capisce: sente tanti suoni differenti che non riesce ad afferrare e sono peggio del silenzio perché vorrebbe, ma non li può decifrare.

In India ci sono ben 30 diverse lingue e 2000 dialetti. Sandeep, è nata e cresciuta in un paesino del Punjab, un minuscolo stato del nord, dove si parla Punjabi.

Fin da bambina con la nonna tesseva lana, cotone, seta; crescendo ha imparato le tinture e poi a ricamare e cucire. La nonna le raccontava spesso di un uomo piccolo e minuto, vissuto molto tempo fa, Gandhi, che ripeteva continuamente che il telaio sarebbe stato la salvezza dell’India, perché l’antichissimo artigianato tessile indiano alimenta da sempre il commercio con l’estero. Per questo moltissime famiglie oggi ne possiedono uno e al centro della bandiera nazionale vi è un charka, la struttura su cui si stende la matassa di cotone da filare, simbolo dell’autonomia.
Ora Sandeep non indossa più i suoi coloratissimi saree, ma dei semplici jeans e una maglietta e guarda gli abiti del suo paese, in vendita nelle vetrine di piazza Vittorio, con grande nostalgia. Ogni giorno vede donne africane, magrebine e indiane comprare splendidi tessuti, per confezionarsi le vesti, che vorrebbe poter indossare anche lei, ma suo fratello non approva. - Le ragazze italiane non indossano certi vestiti! - Anche Gagan, se pur di religione sikh, da quando è arrivato, quattro anni fa, non porta più il turbante e ha tagliato barba e capelli: è meglio non apparire!
Sul super tecnologico cellulare, però, li accompagna un’immagine del Gurudwara (un tempio tutto d’oro), un ritratto del Guru, alcuni inni del Granth, una figura del Khanda e una foto dei nipotini vestiti di abiti tradizionali sikh. E mai si separano da Kara, il braccialetto di ferro, simbolo della loro religione.

Allo stand numero 12, Gagan si occupa delle clienti, degli ordini e dei conti: molte habitué contrattano il prezzo delle stoffe, portano via la merce e pagheranno quando non si sa, la lista dei debitori è lunga. Sandeep riordina, pulisce e la notte confeziona saree, abiti per la danza del ventre, ma più di altri lehenga (l'abito nuziale femminile) e shewani (quello maschile), per i giovani che, cresciuti qui, torneranno al loro paese per sposarsi.
Anche Gagan e sua sorella torneranno presto a casa per maritarsi, ma non con indiani cresciuti in Italia, anche se della loro stessa religione, sono troppo europeizzati.
Sandeep ha 26 anni e quando cuce i lehenga per le altre ragazze, sogna il giorno delle sue nozze e immagina già come sarà la sua veste, rigorosamente rosso-bordeaux e oro. Tra poco più di un anno sposerà un uomo che ancora non conosce, ma è già felice.

domenica 6 aprile 2014

Viaggio nel Profondo Nord

di Simona CASAGRANDE

Le vacanze estive si avvicinano e scegliere una località poco gettonata ove non trovare la folla diventa sempre più difficile. Meglio programmarsi per tempo!

L’Islanda, un’isola sperduta dell’Atlantico di soli 280.000 abitanti, appena sotto il Circolo Polare Artico, non è considerata una meta turistica particolarmente ambita, ma il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo 2011 ha stabilito, essere il Paese in cui si vive meglio. Il reddito pro capite è tra i più elevati d’Europa ed anche il livello culturale è altissimo, quasi tutti sono laureati e l’analfabetismo è inesistente.

Non solo, è anche quello che l’indice di Sostenibilità Ambientale 2010, ha messo al primo posto, grazie alle sue politiche ecologiche e di salute pubblica (il sistema sanitario è considerato tra i migliori al mondo), nonché per il suo controllo delle emissioni di gas ad effetto serra. Questo perché l'energia, prodotta qui, proviene quasi esclusivamente (93,5%) da fonti rinnovabili, infatti il Parlamento islandese nel 1998 ha deciso di eliminare tutti i combustibili fossili dall'isola ed utilizzare solo mezzi di trasporto ad idrogeno, prefiggendosi, entro il 2050, di riuscire a raggiungere il 100%.
Un paese che, nella primavera 2011, a suon di pentole e coperchi, ha fatto dimettere il governo e ha riscritto la costituzione: una rivoluzione di cui pochi hanno parlato.

Un luogo, che già solo per queste premesse, merita di essere visitato.

Con poche ore di volo, si raggiunge la capitale.
A Reykjavik, in cui risiede quasi il 40% della popolazione, oltre ai vari musei e pinacoteche si trova anche, unico al mondo, il Museo Fallologico, ove sono esposti gli organi riproduttivi di tutti gli animali presenti sull'isola.


Il Paese ha un’unica via di comunicazione fatta ad anello e asfaltata solo a tratti (Ring Road). Parallelamente alla strada, corre la via per i cavalli, poiché qua, anche i più piccini, cavalcano per le praterie per raggiungere la scuola, spesso lontana da casa anche molti chilometri. La ferrovia è totalmente assente.

Con un 4x4 si parte, così, dal Parco Nazionale di Thingvellir dove ebbe sede il primo parlamento al mondo, ma è anche il luogo ove la frattura tra la placca nord-americana e quella europea è maggiormente apprezzabile. Qui si trova una sottile e lunga fetta di roccia, circondata da immense praterie, che, altera, si erge verso il cielo, come la cresta di un vecchio drago addormentato: uno spettacolo da non perdere! Scendendo il sentiero, solo il rumore dei passi, rompe un silenzio quasi assordante, mentre le scarpe affondano nella ghiaia nera: nessun uccellino cinguettante, né grilli, né cicale, niente alberi, niente cespugli, solo erba e un po’ di muschio.
Si prosegue verso la zona dei geyser per assistere alle bizzarre eruzioni d’acqua bollente.
Ancora pochi chilometri e dietro un’alta montagna, si apre piano, piano, annunciandone, con un gran frastuono, l’immensa potenza, un grandioso spettacolo della natura: è la cascata d’oro che non potrete esimervi dal fotografare.


L’isola sembra quasi disabitata, niente auto, pochissime case, niente persone, tutto sembra sospeso nel tempo, e percorrendo gli sterminati altopiani costellati da valli verdeggianti, fiumi glaciali e vertiginose cascate, si respira un’incredibile profumo di libertà: le pecore, non sono chiuse in un recinto, pascolano sovrane da maggio a settembre; i cavalli scorrazzano tranquilli sui prati; le case tutt’intorno non hanno cancelli o muri a fare loro da cassaforte; ed ora il parlamento, ha approvato anche una legge che garantisce l'impunità a chiunque violi un segreto di stato o pubblichi informazioni riservate: militari, giudiziarie o societarie. Un Paese, privo di esercito, che ha fatto della libertà la sua bandiera.


Giunti ad Akureyri, non si può non dedicare un’intera giornata all’oceano, alla ricerca delle più grandi creature viventi, e, all’attraversamento del Circolo Polare Artico, il comandante vi farà omaggio di un certificato a testimonianza dell’evento.


Ripresa la Ring Road, appena usciti dalla città, ci s’immerge in un grande deserto di sabbia nera, vulcani, crateri e in lontananza sulle colline si vedono levarsi ovunque le lunghe colonne di vapore delle fumarole, uno spettacolo degno dell’inferno dantesco, ma poi, in fondo ad una valle, ecco, in tutto il suo splendore, la cascata degli dei con la sua mitica storia.


Si narra, infatti, che, nel X secolo, molti cittadini e diverse personalità islandesi, in seguito alle pressioni europee per la conversione al Cristianesimoabbracciarono la nuova fede, ma essendo gli abitanti dell'isola, in prevalenza pagani (adoravano, fra gli altri, Thor, Odino e Freyja), spesso ci furono scontri tra i sostenitori di una o dell’altra religione. Nell'anno 999, per scongiurare una guerra civile che pareva inevitabile, l'assemblea parlamentare nazionale decise che l'Islanda si sarebbe dovuta convertire interamente al Cristianesimo, anche se i seguaci della religione pagana vennero lasciati proseguire il loro culto in segreto. Così le statue degli dei e degli idoli furono pubblicamente gettate in una cascata dell'isola. Questa cascata da allora si chiama Godafoss, la cascata degli dei. Il primo vescovo islandese venne consacrato nel 1056. Ma ancora oggi, gli Asatruar, cioè il 5% della popolazione che ha mantenuto nei secoli la religione pagana, si ritrovano presso la cascata in occasione del solstizio d'estate per celebrare la festa della luce ed eseguono il rito contrario: dal basso della cascata lanciano in alto gli idoli quasi a volerli ripristinare al loro posto.

Sulla strada del ritorno, arrampicandosi sulle ripide scogliere, è possibile fare anche un po’ di birdwatching portando a casa splendide foto di uria e coccinelle di mare, e se avete fortuna, potete scorgere persino delle otarie addormentate s’un qualche scoglio sotto di voi.


È giunto il momento di lasciare questo paradiso per rientrare a casa, ma quando avrete bisogno di pace e tranquillità, troverete volentieri rifugio nei ricordi di quest’isola e magari deciderete di tornare un’altra volta per attraversarla a cavallo.





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